domenica 10 maggio 2009

if these walls could talk...

Guardo il video curato da Michael Welch, antropologo culturale e la mente affoga travolta da un'onda immensa di confusi pensieri;da qualche giorno sembra che la mia vita, i miei discorsi, i miei rapporti con le persone ruotino intorno al web 2.0: strano davvero...
Il testo di Welch è fondamentalmente incentrato sulle possibilità del web 2.0, la peculiarità del video, però, è costituita dal voler riprodurre in una classe universitaria, tradizionalmente impostata, la struttura della rete: la cooperazione, l'espressione partecipata e condivisa della propria esperienza personale e quella costruzione di una intelligenza collettiva che solo il social networking sembra permettere in modo globale e capillare. Il lavoro offre innumerevoli suggerimenti circa la scuola, l'università, il loro rimanere ancorate a modelli tradizionali d'insegnamento e, proprio per tale conservatorismo, l'incapacità di queste istituzione educative di connettersi alla realtà. Ciò le porta ad essere prive di efficacia, infatti il tempo trascorso a scuola non è formativo, è solo un breve passaggio obbligato, un'epochè della vita autenticamente vissuta. Questa scuola, isola solitaria nell'oceano della realtà, tuttavia, anziché essere l'arcadia perduta, lo stato di natura a cui ritornare, è un concentrato di furbizia, arrivismo e abitudinarietà, un luogo che rende gli uomini automi sordi, incapaci di ascoltare la propria coscienza, di protendersi verso l'altro per costruire, così, il proprio io.

Le prime immagine, ancora l'aula è inquietantemente vuota,
si soffermano in modo ossessivo su quello spazio classico familiare: una cattedra, una lavagna e innumerevoli sedie, banchi perfettamente allineati, pronti per ospitare numeri, volti anonimi per gli insegnanti e la società.
Quella disposizione impone un disciplinamento dei corpi per giungere ad un rigido inquadramento, più o meno esplicito, delle menti. La collettività-massa, unita e diversa allo stesso tempo, attraverso la conformazione scolastica diventa un insieme di individui non autenticamente comunicanti tra loro, incapaci di ascoltarsi, quindi completamente estranei al fare rete. Studenti, come elettroni impazziti, seguono inconsapevoli percorsi individuali ed etero-diretti, attaccati ad una vaga quanto illusoria idea di realizzazione personale, finendo così, nella loro estenuante ricerca dell'eccezionalità rispetto alla massa, per essere tutti uguali, pateticamente omologati ad un medesimo modello, ad un pensiero unico, ad una forma pardigmatica imposta. L'incipit del video ricorda Foucoult, Sorvegliare e Punire:

Il potere disciplinare è un potere che in luogo di sottrarre e prevalere ha come funzione principale quella di addestrare o, piuttosto, di addestrare per meglio prevale e sottrarre di più. [...] Invece di piegare uniformemente e in massa tutto ciò che gli è sottomesso, separa, analizza, differenzia, spinge i processi di scomposizione fino alle singolarità necessarie e sufficienti. Esso addestra le moltitudini mobili, confuse, inutili di corpi e forze in una molteplicità di elementi individuali [...] la disciplina fabbrica individui [...] Il successo del potere disciplinare deriva senza dubbio dall'uso di strumenti semplici: il controllo gerarchico, la sanzione normalizzatrice e la loro combinazione in una procedura che gli è specifica: l'esame.

Si tratta di una citazione calzante ancora oggi nel 2009; sebbene la pedagogia non veda più come centrale la categoria dell' educazione come conformazione, quel video e la mia esperienza di studentessa mi suggeriscono che le parole di Foucault sono attuali. Gli strumenti di disciplinamento sono sempre più raffinati, si nascondono dietro il benessere e le libere scelte, ma, proprio per questo, sono ancora più incisivi. Quei post non virtuali dei ragazzi lasciati sui fogli, sulle sedie e sul muro ricordano che vi può essere un'alternativa, una formazione del sé auto-diretta proveniente dal linguaggio delle cose e dei coetanei, per dirla con Pasolini. Il web 2.0 diviene la possibilità altra, la riscoperta della condivisione, la rivoluzione culturale lenta, sonnacchiosa, comoda, tuttavia molto efficace. Al di là del timore che si tratti dell'ennesimo dispositivo di inquadramento ancora più pericolosamente oscuro, vorrei che la salvezza non venisse solo dal virtuale, ma avesse in sé un briciolo di reale materialità; la boa galleggiante a cui sfiniti aggrapparsi dovrebbe essere sì il web 2.0, ma in sinergia con una una percepibile scuola-comunità dentro la società, un sistema d'istruzione autenticamente formativo e democratico, strumento per tutti, al di là della famiglia di provenienza, di realizzazione personale, senza riprodurre le ormai consolidate ed a molti tristemente note differenze sociali. Certo è necessario, come sottolinea l'antropologo, cercare di far convergere ciò che accade dentro i tristi muri della scuola con il variegato mondo al di fuori sfruttando proprio le nuove tecnologie, ma il vero obiettivo della scuola deve rimanere la formazione di coscienze critiche , autonome, capaci di interpretare e creare nuova comunicazione, quindi nuovi progetti. La scuola deve potenziare; deve premiare il merito, non la furbizia, "la scuola deve" significa la società di cui quell'istituzione è il più alto emblema. La sfida per un sistema d'istruzione è l'essere educativo e formativo, ripudiando il modello della macchinetta automatica dispensatrice di nozioni. Questa rimane l'utopia, il telos a cui tendere, anche in questo funesto momento, per l'Italia, di tagli all'istruzione pubblica.

Primo giorno di campagna elettorale:costruire una comunità...

Ieri è stata presentata con un' ampia assemblea pubblica la lista della coalizione di centro-sinistra per le amministrative. Ciascun candidato al consiglio comunale doveva in breve chiarire i motivi che lo avevano spinto ad accettare la candidatura.
Mi sono ritrovata, grazie agli spunti di riflessione tratti dal blog di Martin e Iamarf, a parlare con enfasi, anche eccessiva, di rete, di città diffusa, quindi del superamento delle gerarchie e dei tradizionali centri di potere.
La politica può cogliere spunto per rinnovarsi, quindi per ritornare alle sue origini più autentiche: agire da e per la polis, dalla struttura della rete, del web (inteso nei suoi aspetti virtuosi). Questo significa interpretare la realtà attraverso la parola chiave comunità. Rendere i paesi comunità è la sfida politica più alta. Cum-munus con dono , dove il donare è spontaneo reciproco, privo di interessi e consiste nell'ascolto, nell'emapatia, quindi nel riconoscimento dell'altro e del dialogo con questo. Costruire una comunità significa tessere socialmente reti di relazioni interpersonali, pubbliche e costruttive volte al miglioramento della qualità della vita di ciascuno perché formative. La comunità, essendo com-partecipazione, è la via verso la democrazia autentica. Il volano per la realizzazione di una community, di un progetto condiviso da tutti con regole chiare e naturalmente accettate, è proprio la comunicazione: il mettere in comune, non trasmissione di informazioni, ma scambio aperto in fieri sempre migliorabile.
Da scettica delle ICT mi sono ritrovata a presentare uno pseudo e un po' pasticciato modello politico-amministrativo che proprio a quelle guarda; gli astanti hanno apprezzato molto e forse un margine di miglioramento può esistere davvero... Oggi mi sento ottimista!