venerdì 12 febbraio 2010

Dopo Rosarno...

Il fenomeno migratorio è parte strutturale della storia dell'umanità, la nostra penisola perno tra Oriente e Occidente, tra Settentrione e Meridione è l'emblema di immense immigrazioni e emigrazioni. Occorre, alla luce di questo, adottare una nuova prospettiva, una lettura che vada oltre la gestione di quello che è definito un problema momentaneo frutto di una situazione economica a livello internazionale molto squilibrata. L'immigrazione rappresenta una grande opporunità di crescita civile e culturale per tutti, un'occasione imperdibile per scardinare lo sterile egoismo della "nostra" società che, innalzando costantemente squallidi muri, finisce per sentirsi sempre insicura e assediata. L'incontro con persone con narrazioni travagliate, spesso difficilmente comprensibili, non deve provocare pietas e tolleranza, ma deve fornire l'input per mettere il proprio Io in discussione, creando reti di condivisione comunicativa volti alla consapevolezza dell'esistenza dell'Altro. L'alterità, perché sia tutelata, necessita di ascolto e accoglienza, mentre rifiuta l'omologazione, dunque la riduzione ad un'unica identità. Lo stare nelle differenze è il vero fulcro dell'uguaglianza. Una società complessa aperta e rivolta al futuro deve essere in grado di coniugare diritti e doveri, vissuto individuale e immaginario collettivo. Questa è l'unica via percorribile per evitare la marginalizzazione e il ripetersi di fatti come quelli accaduti a Rosarno, senza dimenticare che dove vi è latenza di diritti, quindi disagio, si trova perfettamente a proprio agio la criminalità organizzata. Questa battaglia culturale appartiene a tutti, ma, in primis, alla scuola, alla politica e ,anche, ai media perché l'ignoranza semina pregiudizi, questi alimentano la paura ed essa fa crescere in modo strisciante il razzismo.

domenica 29 novembre 2009

martedì 10 novembre 2009

Commento al post di Iamarf, per ribellarsi all'ipocrisia

Sfrutto tale post molto bello per dare sfogo alla mia indignazione davanti al ridicolo dibattito sul Crocifisso.Premettendo che sono atea, non battezzata e vissuta per anni a scuola tra ore di alternativa (che per altro la riforma Gelmini elimina, togliendo le compresenze, ma questo è altro discorso) e preghiere fatte recitare come canzoncine dalla maestra brava, ma un po’ “all’antica” , mai mi sono posta il problema di quel piccolo crocifisso circondato da cartelloni e cartine geografiche, semplicemente perché era un oggetto di arredo, al pari di una tenda, o di una lavagna. Ora allibisco davanti a tanti politici che con molta ipocrisia strumentale si affrettano a difendere quell’oggetto chiamandolo simbolo della tradizione, confondendo, per altro così, fede e prospettiva storico- culturale. Nessuno mette in dubbio che quella Croce sia legata alla nostra tradizione, per definizione classica, giudaico-cristiana; quell’espressione di dolore umano e altruismo ha ispirato tanta arte e filosofia;il nostro stesso modo di pensare è intriso di quel Cristo. In tal senso la vicenda di Cristo è centrale nella nostra Cultura, analogamente alla ricerca della verità da parte di Edipo, o alla democrazia ateniese. In realtà, la questione è un’altra: il Cristo in Croce è simbolo religioso, è vessillo cattolico, è espressione di una fede maggioritaria in Italia. Fu introdotto ufficialmente nelle classi, mi pare, con i Patti Lateranensi nel 29, che riconoscevano, appunto, il Cattolicesimo come la sola religione in Italia e proprio in quanto simbolo religioso tanti politici, oggi, lo sfruttano per creare una guerra tra religioni e così guadagnare il consenso delle gerarchie ecclesiastiche. Qui scatta la mia indignazione: possibile che ancora nel 2009 non si riesca a riconoscere la scuola come luogo laico, al di là della questione Crocifisso, aperto a tutti. Mi chiedo come sia accettabile che i paladini della Croce con arroganza vogliano imporsi sugli altri, portare avanti scontri , dimostrando, così, di essere dimentichi dei valori di quella Croce:difesa delle minoranze, propensione verso l’altro, condanna dell’egoismo. La stessa Chiesa non dovrebbe sottrarsi a questo giochino: non dovrebbe ribellarsi a chi lascia morire uomini in mare e poi si fa difensore del Crocifisso? Forse anche in Italia, come in tutta Europa, potrebbe essere giunto il momento per scindere politica e religione…

giovedì 15 ottobre 2009

svegliamoci!!!

Riporto l'appello contro le offese del belusconismo alla dignità, all'intelligenza, all'autonomia delle donne.


QUEST'UOMO OFFENDE NOI DONNE E LA DEMOCRAZIA: FERMIAMOLO È ormai evidente che il corpo della donna è diventato un’arma politica di capitale importanza, nella mano dei Presidente del consiglio. È usato come dispositivo di guerra contro la libera discussione, l’esercizio di critica, l’autonomia del pensiero. La donna come lui la vede e l’anela è avvenenza giovanile, seduzione fisica, ma in primissimo luogo è completa sottomissione al volere del capo. È lì per cantare con il capo, per fare eco al capo, per mettersi a disposizione del capo, come avviene nelle fiere promozionali o nei dispotismi retti sul culto della personalità. Le qualità giudicate utili per gli show pubblicitari si trasformano in doti politiche essenziali, producendo indecenti confusioni di genere: ubbidienza e avvenenza diventano l’indispensabile tirocinio per candidarsi a posti di massima responsabilità. Diventano il burqa gettato sul corpo femminile, per umiliarlo sulle scene televisive e tramutarlo in arma che ferisce tutti e tutto. Contro questa cretinizzazione delle donne, della democrazia, della politica stessa, protestiamo. Quest’uomo offende le donne e la democrazia. Fermiamolo.
Michela Marzano
Barbara Spinelli
Nadia Urbinati

sabato 1 agosto 2009

Festa democratica alias de L'Unità...

Davanti ad una bottiglia di vino, dopo aver servito come volontari tutta la sera, nelle torbide sere d'estate dicomanesi è ancora possibile incontrarsi; giovani, anziani, nati a Dicomano e persone approdate, per strani giochi del destino, nel nostro paese intessano tra loro fili robusti di amicizia e condivisione.
La festa democratica, alias de L'Unità, è questo, è un patrimonio di civiltà e amore inestimabile, affonda le proprie radici nel dopo-guerra, ma anno dopo anno è pronta ad evolversi, sempre includendo tutti. Quest'anno hanno fatto il loro ingresso i bambini allegramente agitati del Saharawi. Alla festa non hanno trovato compassione, pietà, ma gente disposta ad accoglierli come bambini , come sguardi furbi da stimolare e da sgridare. La festa è solidarietà priva di tolleranza, perché è un magma informe ricco di accoglienza naturale in quanto originata da una legge morale interiore che non necessita di precetti imposti.
Si litiga per la politica e per il modo di condire la pizza: con una birra o un bicchiere di vino il puzzle si ricompone e l'armoniosa quiete si ristabilisce (il metodo Obama a Dicomano viene perseguito da più di mezzo secolo).
Compatisco chi da snob di sinistra rifiuta tali luoghi, rifugiandosi in locali radical tristi, dove, come nel miglior stile berlusconiano, la sostanza si riduce alla peggior forma, quella superficiale, omologata, tristemente contenuto di niente.
La festa è tutt'altro che sinonimo di semplicità: è abbondanza di differenze, è crogiolo di idee radicalmente alternative, è pensiero e prassi.

sabato 25 luglio 2009

martedì 30 giugno 2009

Capo-gruppo

Questo spazio nato come diario di una campagna elettorale potrebbe divenire un luogo di sfogo dei miei primi mesi come capo-gruppo...

Con molte incertezze e perplessità conclamate, infatti, sono stata scelta come capo-gruppo.
In questi giorni animati dall'adrenalina della nuova esperienza riscopro la passione per l'impegno, per l'esserci sempre, per l'agire guidati sempre da una grande u-topia all'orizzonte.
Sto scoprendo solo adesso anche quanto sia complesso il mediare, lo stare in equilibrio tra le diverse prospettive del Sindaco, del Partito e dei cittadini.
Ogni parola diviene pietra e attenta devo misurarla, meditarla, nel timore costante che vi sia qualche incomprensione. Stare nelle connessioni è tremendamente faticoso, si è sempre in bilico tra l'imporre le proprie idee e l'accettare quelle altrui, fra il voler dimostrare di essere in grado e la ricerca di aiuto. La collaborazione nella pratica diviene una continua accettazione reciproca, quindi certo condivisione, ma ardentemente cercata. Nessun dialogo è naturale, spontaneo, senza impiego di energia e del resto il suo stesso procedere non è mai pre-definito e automatico. Occorre tanto coraggio perché dalla sala del Consiglio nel destato Palazzo, alla piazza è un estenuante rischio frutto dell'eterno rimettersi in gioco.